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L’amico Roberto mi offre questa possibilità, in cui riassumo le mie opinioni prevalenti:

  1. Chi legge libri vive di piú.
  2. Difendere la lingua italiana dall’invasione dell’itanglese è il primo dovere della nuova resistenza. Chi parla di “location”, “mission”, “briefing” eccetera è complice e collaborazionista dell’attuale dittatura digitale e anticulturale.
  3. Abbasso i quantaltristi

    Tra il dire e il fare…

    Non si tratta solo di giusto o sbagliato grammaticalmente, a parte il fatto discutibile di una forma incompleta (quant’altro cosa?), ammiccante, allusiva, vaga e indefinita, comoda per concludere senza dire.
    Si tratta soprattutto di stile, cioè di eleganza contro volgarità; la differenza è tra il sapere (e volere!) scegliere le parole che si usano, e il ripetere passivamente qualcosa che altri (soprattutto tramite tv) hanno fatto diventare di moda, trovando come sempre innumerevoli imitatori pronti a scimmiottarli. L’insopportabile è il tormentone di una forma non necessaria che sta quasi generalmente sostituendo l’ineccepibile “eccetera”: una forma nata in ambienti snob del norditalia, ricalcata sull’angloamericano e affermatasi come vezzo distintivo dei rampanti di turno. Perché unirsi al coro? Perché non vedere, e denunciare, in tali “novità” linguistiche il segno dell’amerikanizzazione peggiore, che trasforma non solo i nostri consumi ma addirittura i modi di esprimersi e, quindi, di (non) pensare?
    Se si cede su questo, significa che nessuna resistenza è piú possibile, perché “loro” avranno vinto sul terreno principale: l’invasione, la conquista e il dominio dei cervelli omologati.

    Ripeto di nuovo, ormai disperatamente, quanto scrissi anni fa all’amica Ines Arciuolo
    (A casa non ci torno):

    L’attenzione, la precisione, l’accuratezza, sono a mio parere d’importanza primaria, specialmente in questa società ultraspettacolista (vedi Debord) che fa di tutto per renderci superficiali, approssimativi, frettolosi, volgari, ignoranti e distratti; e purtroppo ci riesce benissimo, proprio per la passività con cui molti, troppi, si adeguano allo “spirito del tempo” e indossano come una divisa di presunta modernità ogni becerume promosso dai media. Ne sono esempio, per rimanere in tema linguistico, le quantità crescenti e incontrastate di pecoroni che per opportunismo gregario, conformismo modaiolo, o intelligenza critica vacante, infarciscono i loro discorsi di idiozie come «e quant’altro» in luogo di «eccetera», o l’osceno «piuttosto che» come variante “trendy” di «o/oppure/come anche … »: espressioni di un “italiano da bere” come il vecchio «attimino» della Milano social-ramazzottista degli anni 80 (guardacaso!), e tristi conferme di ciò che Luciano Bianciardi presagiva già nel 1962 scrivendo all’amico grossetano Mario Terrosi: «Qui continua il miracolo, dicono; tutti si comprano l’automobile, qualcuno anche il panfilo, e di tutto il resto se ne fregano. Ma non sono contenti: sono sempre incazzati. Insomma è brutta gente. Il peggio è che nel resto del paese, potendo, fanno il verso a questi di quassú. Se continua il miracolo, fra vent’anni tutta l’Italia si ridurrà come Milano». Anche nel modo di parlare e di scrivere?

    Ricordo una frase fra le tante memorabili di Lorenzo Milani: «Chiamo uomo chi è padrone della sua lingua». Ne è rimasto qualcuno?

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